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Le sanzioni previste per la violazione degli obblighi di informazione sugli alimenti ai consumatori: rischi e tutele per le imprese agroalimentari

Avvocati a Firenze - Studio Legale Bruni - Manigrasso

Tra i principi cardine della politica agricola europea spicca indubbiamente quello della tutela della qualità dei prodotti agroalimentari.

Uno dei più significativi aspetti in tal senso è rappresentato dal complesso normativo volto a regolare le informazioni obbligatorie che devono essere indicate sulle etichette dei prodotti agroalimentari.

Per tali prodotti, ad eccezione dei prodotti DOP ed IGP, per i quali l’indicazione della provenienza rappresenta uno degli elementi della particolare qualità del prodotto stesso, vige il principio per il quale l’indicazione del luogo di origine o di provenienza è obbligatorio nell’ipotesi in cui la sua omissione possa indurre in errore il consumatore in merito all’origine o alla provenienza effettiva del prodotto stesso.

Tale principio è affermato e confermato nel Regolamento 1169/2011, il quale trova applicazione per tutti gli alimenti destinati al consumatore finale, ivi compresi quelli distribuiti presso ristoranti, mense, scuole, ospedali ed imprese di ristorazione.

Per taluni prodotti, tuttavia, l’obbligo della indicazione dell’origine e della provenienza è imprescindibile, indipendentemente dalla possibilità o mendo che l’omessa indicazione ingeneri confusione nel consumatore, nello specifico:

  • Carne suina, ovina, caprina e di volatile;
  • Carne bovina;
  • Miele;
  • Ortofrutticoli freschi;
  • Vino;
  • Uova;
  • Pollame importato;
  • Bevande spiritose;
  • Olio di oliva vergine ed extravergine
  • Prodotti della pesca non trasformati.

Sulla scorta della sopracitata normativa è stata emanata la legge 4/2011 la quale ha previsto l’obbligo di riportare nell’etichetta anche l’indicazione del luogo di origine e provenienza per i prodotti alimentari commercializzati, trasformati, non trasformati o parzialmente trasformati.

Va segnalato, tuttavia, che è stato emanato il Regolamento di esecuzione 2018/775, il quale prevede che debba essere indicato il Paese di origine o il luogo di provenienza di un ingrediente primario, qualora non sia lo stesso di quello indicato per l’alimento per il quale risulta obbligatoria l’indicazione dell’origine. Tesle regolamento, poiché ha ad oggetto lo stesso ambito di applicazione di cui alla legge 4/2011 e relativi decreti interministeriali, ha determinato che la normativa nazionale avrà efficacia solo fino al primo aprile 2020.

Fatte queste doverose premesse, occorre chiedersi quale siano le conseguenze, per un’impresa agroalimentare, derivanti dalla violazione dell’obbligo informativa sopra delineato.

Possiamo tracciare due principi base.

Il primo è che dalla violazione dei suddetti obblighi deriva quale conseguenza l’applicazione di sanzioni amministrative, principalmente di tipo pecuniario ma è possibile l’applicazione di altre misure, quali il sequestro o la confisca.

Il secondo è che l’Autorità competente ad irrogare la relativa sanzione è l’Ispettorato centrale della qualità e repressioni frodi dei prodotti agroalimentari de ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, altrimenti noto come ICQRF.

L’IVQRF è, ovviamente, l’organo preposto alla vigilanza ed ispezione del rispetto degli obblighi di informazione e, per le violazioni per le quali è prevista l’applicazione della sola sanzione pecuniaria, il suddetto organo, nel caso in cui accerti per la prima volta l’esistenza di violazioni sanabili, deve diffidare l’interessato ad adempiere alle prescrizioni violate entro il termine di venti giorni dal ricevimento della diffida ed a rimuovere gli effetti dannosi o pericolosi derivanti dall’illecito amministrativo.

In caso la diffida venga disattesa, l’ICQRF provvede ad effettuare la contestazione (art. 1 d.l. 91/2014).

L’entità delle sanzioni pecuniarie, regolate dal d.l. 231/2017 (recante la “disciplina sanzionatoria per la violazione delle disposizioni del regolamento UE n. 1169/2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, e adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del medesimo regolamento UE n. 1169/2011 e della direttiva 2011/91/UE”) può andare da un minimo di euro 500,00 ad un massimo di euro 40.000,00; nello specifico, sono stati delineati cinque fasce sanzionatorie:

  • da euro 500,00 a euro 4.000,00
  • da euro 1.000,00 ad euro 8.000,00
  • da euro 2.000,00 ad euro 16.000,00
  • da euro 3.000,00 ad euro 24.000,00
  • da euro 5.000,00 ad euro 40.000,00

L’individuazione della relativa fascia applicabile dipende dalla gravita della violazione accertata.

Le suddette violazioni, pertanto, hanno natura di illecito amministrativo e non di natura penale. La tutela penale, ad ogni buon conto, è garantita dalla clausola, contenuta nelle prescrizioni di cui al d.l. 231/2017, “salvo che il fatto costituisca reato”, reato che, nello specifico, può consistere  nella “Frode nell’esercizio del commercio” (art. 515 c.p) e nella “Vendita di prodotti industriali con segni mendaci” (art. 517 c.p.).

Qualora un’impresa agroalimentare si veda notificata una ordinanza-ingiunzione contenente una sanzione amministrativa per la violazione degli obblighi di informazione al consumatore, in che modo può tutelarsi?

Lo strumento principale è costituito indubbiamente dal ricorso in opposizione all’ordinanza ingiunzione, da depositare presso l’Autorità competente entro il termine di trenta giorni dal ricevimento del provvedimento sanzionatorio, come previsto dalla legge 689/81, richiamata espressamente per le violazioni oggetto del presente articolo dal sopra citato d.l. 231/2017.

Per qualsiasi approfondimento o consulenza si consiglia dio rivolgersi allo Studio Legale Bruni Manigrasso, sito in Firenze, via dei della Robbia 100 e Via Vittorio Emanuele II 247.