La prescrizione dei crediti retributivi nel settore del lavoro privato e nel settore del lavoro pubblico
Entro quanto tempo un lavoratore può richiedere il pagamento dei crediti retributivi maturati ma non ancora riscossi? E da quando decorre il termine di prescrizione?
Il presente articolo cercherà di spiegare in modo rapido e chiaro le risposte alle due precedenti domande, sia con riferimento al settore del pubblico impiego sia con riferimento al settore del lavoro privato.
E la soluzione a queste domande si basano su due importantissime sentenze della Corte di Cassazione, le quali hanno finalmente puntualizzato quale deve essere l’orientamento interpretativo che gli operatori del diritto e non, devono seguire nella materia delicata della prescrizione dei crediti da lavoro.
In primo luogo è bene specificare cosa sia la prescrizione: essa è una modalità generale di estinzione (per non esercizio per un tempo determinato dalla legge) dei diritti, finalizzata a garantire il principio di certezza del diritto, e decorre dal momento in cui il diritto medesimo possa essere fatto valere.
Quando scatta la prescrizione per i crediti di lavoro? Ce lo dice l’art. 2948 n. 4 c.c.: gli interessi e, in generale, tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi, si prescrivono in cinque anni.
Il lavoratore che, pertanto, abbia maturato crediti lavorativi non riscossi, ha l’onere di richiederli al datore entro 5 anni. Ma da quando decorre il termine quinquennale? Ce lo specifica la Corte di Cassazione.
Partiamo con la sentenza n. 26246/22, emessa dalla Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, in merito al settore del lavoro privato.
La Corte basa la sua decisione su un principio già da tempo seguito dalla giurisprudenza ovvero della non decorrenza della prescrizione dei crediti di lavoro durante il rapporto di lavoro solo per quei rapporti non assistiti dalla garanzia della stabilità: “dovendosi ritenere stabile ogni rapporto che, indipendentemente dal carattere pubblico o privato del datore di lavoro, sia regolato da una disciplina la quale, sul piano sostanziale, subordini la legittimità e l’efficacia della risoluzione alla sussistenza di circostanze obbiettive e predeterminate e, sul piano processuale, affidi al giudice il sindacato su tali circostanze e la possibilità di rimuovere gli effetti del licenziamento illegittimo”.
La Corte conclude specificando che il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, così come modulato per effetto della Legge Fornero e del Job Acts, mancando dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata, non è assistito da un regime di stabilità poiché non è possibile pretedeterminare in maniera certa quali sono le fattispecie che portano alla risoluzione del rapporto di lavoro né le forme di tutela adeguate al caso. Sicché, per tutti quei diritti che non siano prescritti al momento di entrata in vigore della legge n. 92 del 2012 (legge Fornero), il termine di prescrizione decorre, a norma del combinato disposto degli artt. 2948, n. 4 e 2935 c.c., dalla cessazione del rapporto di lavoro e non in costanza di rapporto.
Diversa la soluzione prospettata in caso di pubblico impiego.
Le Sezioni Unite della Cassazione, con sentenza n. 36197/23, ritengono di dare continuità ai precedenti orientamenti in materia di prescrizione dei crediti retributivi dei pubblici dipendenti e, pertanto, affermano che la prescrizione decorre in costanza di rapporto, sia nel caso di rapporto a tempo indeterminato che di rapporti a tempo determinato reiterati, dovendo essere negata una piena parificazione dei rapporti di lavoro privato e di lavoro pubblico contrattualizzato: la privatizzazione non ha infatti comportato una totale identificazione tra lavoro pubblico privatizzato e lavoro privato.
Innanzitutto, le Sezioni Unite ricordano che le modifiche all’art. 18 non sono state ritenute applicabili ai dipendenti pubblici e che per essi la reintegrazione è tuttora prevista. Soprattutto, le Sezioni Unite ritengono che nei confronti della Pubblica Amministrazione non sia configurabile la condizione di metus, cioè di timore, nei confronti del datore di lavoro. L’azione delle amministrazioni, infatti, è vincolata al rispetto dei principi costituzionali e della legge, il che comporta un sistema di garanzie e bilanciamento fra interessi, orientato al perseguimento di quello prioritario generale.
In definitiva, la decorrenza della prescrizione dei crediti lavorativi diverge a seconda che il lavoratore sia un dipendente privato o pubblico.
Il lavoratore privato, a seguito della cessazione del rapporto, potrà richiedere i crediti entro cinque anni dalla risoluzione del rapporto.
Il lavoratore pubblico, invece, dovrà richiederli in costanza di rapporto, entro cinque anni da quando il relativo credito è maturato e può essere fatto valere.
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